Chiara Renzi

Psicologa Psicoterapeuta​

Negli ultimi decenni, sempre più pazienti accedono a diversi tipi di trattamento oncologico, che possono andare dalla chirurgia, alle diverse chemioterapie, alla radioterapia, alla terapia ormonale, all’immunoterapia nel corso della loro vita. Molti tumori hanno trovato prognosi più favorevoli rispetto al passato, prevedendo ad esempio cicli di cura seguiti da follow-up periodici. L’aumento della sopravvivenza ha significato inoltre un aumento del numero di persone che, oltre al cancro, soffre di altre patologie e segue molteplici terapie farmacologiche e non. Assistiamo spesso però anche a una “frammentazione” della presa in carico che coinvolge diversi professionisti (ad esempio medici di medicina generale, chirurghi, oncologi, infermieri, psicologi e altre figure sanitarie). Stiamo poi assistendo a un lento cambiamento nella modalità di presa in carico da parte del sistema sanitario, con un focus molto più marcato sugli stili di vita e sul self-management, ovvero la gestione “in autonomia” di alcuni aspetti della malattia e dei suoi trattamenti. Queste evoluzioni pongono diverse questioni non solo per il sistema sanitario e per i pazienti, ma anche per coloro che accompagnano i pazienti e che si prendono cura di loro, ovvero i caregiver. Nel corso degli anni, il ruolo del caregiver ha inglobato sempre più aspetti della presa in carico e la sua durata si è molto allungata.

Oggi, ci si può trovare a ricoprire il ruolo di caregiver per un tempo più lungo che nel passato: si stima che un caregiver si prenda cura di un paziente in trattamento attivo per un periodo compreso tra i 14 e i 24 mesi, e ricopra questo ruolo in media per 4 anni. Bisogna far fronte a sfide o richieste più varie: tutto ciò in certi casi può portare a lunghi periodi di stress fisico e psicologico.

Essere caregiver di qualcuno a cui vogliamo bene, oggi, include una varietà di compiti che possono andare dall’essere presenti alle visite mediche e accompagnare la persona in ospedale durante i trattamenti, al garantire il passaggio di informazioni tra e con le diverse figure sanitarie coinvolte, all’aggiornare i familiari, gli amici e i conoscenti sulla situazione, al prendersi cura dal punto di vista fisico della persona (per gli effetti della malattia o dagli effetti secondari dei trattamenti), al supporto nelle terapie svolte a casa o nelle modifiche dello stile di vita, all’occuparsi di faccende domestiche come le pulizie e preparare i pasti, o ancora essere di supporto emotivo alla persona e magari anche ad altri membri della famiglia.

Diversi studi scientifici indicano che i caregiver, rispetto ai coetanei che non ricoprono questo ruolo, possono presentare con maggiore probabilità sintomi come mal di testa, insonnia, dolore, problemi di appetito, pressione alta, e valori sanguigni alterati. L’alimentazione di molti non segue le linee guida per la salute (ad esempio per le porzioni di frutta e verdura), il sovrappeso è più frequente, insieme al fumo e al consumo di alcolici. Sono inoltre maggiormente a rischio di un peggioramento se soffrono di malattie croniche come il diabete. Dal punto di vista psicologico si riportano spesso ansia, preoccupazioni, depressione e rabbia e sembra che ci sia una maggiore vulnerabilità al disturbo da stress post-traumatico.

Questo quadro potrebbe sembrare scoraggiante ma alcuni studi, che hanno esaminato gli interventi psico-sociali dedicati ai caregiver, ci indicano un miglioramento della depressione, dello stress percepito, delle abilità di coping e della qualità della vita. Si può (e si deve quindi) fare qualcosa. Per questa ragione è sempre più importante aiutare i caregiver di oggi a sviluppare la loro resilienza, ovvero la capacità di rispondere in maniera positiva e flessibile alle situazioni difficili.

Di seguito proponiamo alcune indicazioni o spunti di riflessione su questo tema dedicate proprio ai caregiver.

1. PRENDERTI CURA DI TE HA LA PRIORITA’

Molti caregiver tendono a mettere da parte i propri bisogni e le proprie emozioni quando si prendono cura di qualcuno, focalizzandosi principalmente sulla persona che assistono.

Prendersi cura di sé può sembrare una cosa da “egoisti” quando qualcuno accanto a noi soffre e si trova ad affrontare la sfida della malattia oncologica. Possiamo vivere con vergogna o avere sensi di colpa se facciamo qualcosa per noi, perché magari ci sembra di “togliere” qualcosa all’altra persona o ai propri familiari.

Una metafora che utilizzo spesso è quella del giubbotto di salvataggio. Quando vengono descritte le procedure di emergenza in aereo, viene spiegato che la prima cosa da fare è indossare il proprio giubbotto e solo in seguito assistere le persone più fragili. È normale, in una situazione di pericolo, avere l’istinto di proteggere subito le persone a cui vogliamo bene, ma dobbiamo tenere a mente che se non siamo noi stessi in primo luogo in una condizione di sicurezza questo, oltre a essere dannoso per noi, non sarà utile nemmeno alla persona che vogliamo proteggere.

Inoltre, alcuni studi recenti suggeriscono che esista una relazione tra la salute del caregiver e quella del paziente ed esistono progetti di ricerca-intervento che si stanno sviluppando programmi dedicati ai primi per agire indirettamente anche sul benessere e sugli outcome dei pazienti. Quindi prendersi cura di sé davvero può fare la differenza per la persona di cui ci prendiamo cura!

2. DEDICA DEL TEMPO A TE STESSO E AI TUOI AFFETTI

Fare una pausa e ricaricarsi è fondamentale quando si svolgono dei ruoli di cura e quando si sta a contatto con la sofferenza. Tutti hanno bisogno di un momento di stacco, è importante legittimarlo e difenderlo, se ce ne fosse bisogno. Dedicare un po’ di tempo alla settimana e al mese a sé, ai propri hobby, per fare qualcosa con le persone con cui stiamo bene ha un ruolo chiave per il benessere.

Anche all’interno di una vita piena di impegni possiamo trovare dei momenti per dedicarci a noi. Qualche minuto in più nella doccia, prepararci una cena gustosa e sana, ritagliarsi mezz’ora per un massaggio o per una passeggiata a telefono spento: possiamo cominciare da piccoli gesti che però possono fare la differenza in una vita un po’ frenetica. Anche coltivare relazioni positive e di supporto ci aiuta a stare bene e aiuta il nostro corpo e la nostra mente a ritornare in una condizione di equilibrio. Come abbiamo detto prima, un caregiver più sereno è un caregiver più efficace.

3. SII GENTILE CON TE STESSO

Quando ci si prende cura di qualcuno è facile pensare che è a loro che dobbiamo rivolgere la nostra gentilezza, magari tralasciando quella verso di noi. La gentilezza invece può essere un’attitudine che pervade ogni cosa che facciamo, non solo quelle che facciamo per gli altri. È un antidoto molto potente allo stress negativo e all’ansia. Quando si è caregiver a lungo, ci si rende conto che ci sono giorni in cui ci si sente angosciati, oppure irritati da tutto e da tutti, in cui ci si demoralizza. È assolutamente normale che ci siano giorni o periodi di particolare fatica, nella vita di tutti ma in particolare in quella di un caregiver. Essere comprensivi, non giudicarci se siamo in una giornata “no”, fare spazio anche alle emozioni negative ci aiuta a non farle proliferare in modo incontrollato e a non rimanere intrappolati.

4. CHIEDI SUPPORTO AD ALTRI

Molti caregiver tendono a sobbarcarsi la maggior parte degli aspetti legati alla cura, rendendosi conto, solo in un momento successivo della mole di lavoro che questo comporta e arrivando all’esaurimento totale delle proprie forze. Spesso a questo punto ci si sente a disagio nel coinvolgere altre persone, sentendosi in colpa o vivendo eventuali richieste di supporto come una sconfitta personale.

Chiedere aiuto e accettare aiuto può non essere facile, ma è fondamentale perché aiuta a diminuire lo stress. A questo proposito, alcuni studi hanno mostrato come lo stress nel caregiver riduca gli outcome ottimali sia per i pazienti che per gli altri membri della famiglia. Quindi diminuire lo stress delegando alcuni compiti (ad esempio le faccende domestiche, accompagnare il paziente alle terapie, o prendendosi cura dei più piccoli) può avere un impatto positivo su tutto il sistema familiare. Inoltre distribuire i compiti su più membri della famiglia o della rete sociale può essere di sollievo anche per i pazienti, che possono arrivare a sentirsi molto in colpa per l’impegno profuso da un singolo caregiver.

Una cosa da tenere presente è la possibilità che alcune persone, tra quelle a cui chiederemo o da cui ci aspetteremmo aiuto, rifiutino o non si facciano avanti in prima persona. Questo può essere dovuto a difficoltà pratiche (magari si stanno già occupando a loro volta di qualcuno o non hanno modo di ritagliare del tempo) oppure emotive (ad esempio possono aver avuto esperienze precedenti di parenti con il cancro e non vogliono rivivere quell’esperienza, oppure hanno paura di confrontarsi con la sofferenza e la malattia). Alcune persone possono non farsi avanti perché pensano che facendo domande sulla situazione e offrendosi di aiutare possono sembrare invadenti o inappropriati, oppure perché non hanno idea di come potrebbero essere di aiuto, o ancora perché non realizzano il carico effettivo a cui siete sottoposti. In molti casi si tende a lasciar perdere, e si passa oltre senza dire nulla. Ma se ha un impatto emotivo su di voi, se avviene ad esempio con una persona con cui avete un rapporto di lungo corso o a cui tenete particolarmente, comunicare come ci si sente può essere di aiuto. Questo aiuta a chiarire i malintesi, a salvaguardare relazioni che possono esserci di supporto e ci risparmia una quota di stress ed emozioni negative. In questi casi, anche una consulenza psicologica può essere di aiuto per aiutarci a chiarire le idee e imparare modi efficaci di comunicare come ci si sente.

5. PRESTA ATTENZIONE AI SEGNALI DEL DISTRESS

Perdita di appetito, difficoltà a dormire o dormire molto più del solito, mancanza di energia, perdita o aumento di peso, aumento del consumo di alcolici, tabacco, e altre sostanze psico-attive, difficoltà di concentrazione, irritabilità, inquietudine, tensione muscolare: questi sono solo alcuni dei segnali che ci troviamo in una condizione di distress. Quando ci occupiamo di qualcuno, può succedere che ne tralasciamo l’insorgenza. Mantenere “le antenne sintonizzate” anche su noi stessi e agire già davanti ai primi segnali è importante. Se conosciamo già risorse e strategie per riguadagnare equilibrio davanti allo stress, qualcosa che magari ci è stato utile nel passato, possiamo subito metterlo in pratica. In caso contrario, o se le strategie che già conosciamo non stanno funzionando, può essere utile rivolgersi allo psicologo, allo psicoterapeuta o al medico.

CONCLUSIONI

Essere caregiver oggi può essere un ruolo più impegnativo e complesso, ma abbiamo anche a disposizione molte più risorse rispetto al passato, dalle conoscenze scientifiche alle possibilità di supporto pratico e psicologico. La cura di sé è un aspetto fondamentale in questo cammino e anche se può sembrare controintuitivo è proprio da lì che bisogna cominciare!

BIBLIOGRAFIA

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SITOGRAFIA

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https://www.dana-farber.org/for-patients-and-families/caring-for-a-loved-one/resources-and-information

https://www.cancer.net/coping-with-cancer/caring-loved-one

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